Paolo Soro

Incostituzionale l’indennizzo sui licenziamenti previsto dal Jobs Act

La Corte Costituzionale boccia una parte fondamentale della più importante riforma varata dal Governo Renzi.

La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo numero 23/2015 sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti (Jobs Act ), nella parte che determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato: detta predeterminazione “rigida” da parte del Legislatore dell’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato nei nuovi contratti a tutele crescenti è dunque illegittima.

La Corte Costituzionale, con l’anzidetto dispositivo, ha in pratica bocciato il principio cardine introdotto con il Jobs Act per individuare la forma di ristoro monetaria sostitutiva della tutela reale nei casi di recesso datoriale illegittimo.

Le tutele crescenti statuite dal Governo Renzi e in vigore dal 7 marzo 2015, hanno marginalizzato la reintegrazione, sostituendola nei licenziamenti economici e in parte disciplinari, con indennizzi monetari.

Per la Consulta, la previsione rigida dell’indennità spettante al lavoratore ingiustamente licenziato contrasta con i principi di ragionevolezza e uguaglianza, nonché con il diritto e la tutela del lavoro, di cui agli articoli 4 e 35 della Costituzione.

Il testo preso in considerazione dalla Consulta si riferisce per l’appunto all'articolo "sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, nella parte che determina in modo rigido l'indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato"; ovviamente, quanto al resto, le “tutele crescenti” continuano a permanere in vigore.

In sostanza, ciò che risulta incostituzionale è il citato rigido meccanismo di determinazione, meramente ancorato all’anzianità di servizio.

Il recente Decreto Dignità ha aumentato gli importi minimi (6 mensilità) e massimi (36 mensilità), senza però intervenire su detto meccanismo di determinazione, la cui incostituzionalità rimane perciò non sanata.

Cionondimeno, appare evidente la bocciatura del Jobs Act in una delle sue principali componenti.

A sollevare le questioni davanti alla Consulta era stata la sezione lavoro del tribunale di Roma: con il suo atto di rimessione alla Corte, il giudice della Capitale avanzava dubbi su diversi punti del Jobs Act.

In particolare, secondo il tribunale, il contrasto con la Costituzione non veniva ravvisato nell’eliminazione della tutela reintegratoria, salvi i casi in cui questa è stata prevista, e nell’integrale monetizzazione della garanzia offerta al lavoratore, quanto piuttosto in ragione della disciplina concreta dell’indennità risarcitoria, destinata a sostituire il risarcimento in forma specifica, nonché nel metodo della sua quantificazione.

Per quanto riguarda, infine, le varie altre domande rivolte alla Corte relativamente ai diversi casi di licenziamento, le stesse sono state ritenute "inammissibili o infondate".

Per comprendere, però, quali saranno poi nella pratica gli effetti della decisione, bisognerà in ogni caso attendere di leggere le motivazioni, con il deposito della sentenza (previsto nelle prossime settimane).

Tale lettura appare oltre tutto imprescindibile prima di esprimere critiche più o meno velate al pronunciamento in questione, quali quelle che, fin da oggi, sono state inopinatamente riportate da tanta Stampa, anche specializzata, il cui evidente obiettivo è marcatamente politico e non certo giuridico, come viceversa sarebbe stato più che lecito aspettarsi.

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