Paolo Soro

L’articolo 18 supera l’esame della Corte costituzionale

Il «nuovo» art. 18 supera il vaglio della legittimità costituzionale. Con la prima sentenza dopo le riforme Fornero e Jobs act, la corte costituzionale riconosce la natura “risarcitoria” (e non retributiva) all’indennità dovuta al lavoratore che non venga immediatamente reintegrato nel posto di lavoro.

Il «nuovo» art. 18 supera il vaglio della legittimità costituzionale. Con la prima sentenza dopo le riforme Fornero e Jobs act, la corte costituzionale riconosce la natura «risarcitoria» (e non retributiva) all'indennità dovuta al lavoratore che non venga immediatamente reintegrato nel posto di lavoro per ordine del giudice. A stabilirlo è la sentenza n. 86/2018. La questione era stata posta dal tribunale di Trento sulla presunta disparità di due posizioni: quella del datore di lavoro ottemperante all'ordine del giudice, che eroga «retribuzioni» al reintegrato; e quella del datore di lavoro non ottemperante, perché ad esempio «scommette» di aver ragione dalla causa in corso, tenuto invece eventualmente a pagare un'indennità «risarcitoria» al lavoratore non reintegrato qualora perda la causa. La Corte precisa, inoltre, che quando l'esito della causa è a favore del datore di lavoro, in caso di avvenuta reintegrazione, egli ha erogato retribuzioni e ricevuto prestazioni lavorative dal lavoratore, dunque la questione è chiusa; invece, in caso di mancata reintegra con erogazione dell'indennità, poiché è «risarcitoria» può chiederne la restituzione al lavoratore.

Art. 18. La questione, come detto, riguarda l'art. 18 della legge n. 300/1970 nella nuova versione dopo la riforma Fornero (legge n. 92/2012) e che, nella stessa veste, si applica agli assunti a tutele crescenti (art. 3 del dlgs n. 23/2015, Jobs act). Al vaglio della Corte è passato il comma 4 che, a proposito della nullità dell'atto di licenziamento, stabilisce: qualora non ricorrano gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, «il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione , dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione ( )» per massimo 12 mensilità. Per il tribunale di Trento la norma attribuisce «irragionevolmente» (con riferimento all'art. 3 della Costituzione) «natura risarcitoria, anziché retributiva, alle somme di denaro che il datore di lavoro è tenuto a corrispondere dalla pronuncia di annullamento di licenziamento e di condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro fino all'effettiva ripresa dell'attività lavorativa o fino alla pronuncia di riforma della prima sentenza».

Due posizioni. La questione è più evidente considerando separatamente le due possibilità che ha il datore di lavoro, una volta colpito dall'ordine di reintegrazione:

a) può obbedire e reintegrare il lavoratore, dal quale riceverà nuovamente lavoro in cambio di retribuzione. Finita la causa, se risulterà vincitore potrà mandare a casa il lavoratore; se risulterà perdente, il rapporto di lavoro continuerà e nulla dovrà al lavoratore a titolo di risarcimento per la nullità del licenziamento;

b) può non obbedire e non reintegrare il lavoratore, ad esempio perché è sicuro di vincere la causa. Finita la causa, se uscirà vincitore il lavoratore il rapporto di lavoro riprenderà e il datore di lavoro dovrà risarcire il lavoratore con erogazione di un'indennità pari all'ultima retribuzione per il periodo dal giorno di licenziamento all'effettiva reintegrazione (max 12 mesi); se invece sarà vincente il datore di lavoro, questi potrà lasciare a casa il lavoratore e, nel caso abbia erogato il risarcimento al lavoratore, potrà chiederlo a rimborso.

Secondo la Corte si tratta di due situazioni non omogenee, che giustificano dunque la diversità dei trattamenti (retribuzione/risarcimento) e non suscettibili di entrare in comparazione in base all'art. 3 della Costituzione. Vale la pena evidenziare, infine, che la mancata equiparazione dell'indennità a «retribuzione» esclude ulteriori questioni, come quelle degli oneri contributivi.

Fonte: Italia Oggi

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