Paolo Soro

Infedeltà dichiarativa reiterata: sì alla sanabilità ad ampio raggio

Il chiarimento interpretativo arriva dall’Agenzia delle entrate con riferimento al rapporto intercorrente tra circostanza attenuante e applicazione del ravvedimento operoso.

Con la risoluzione 131/E del 23 ottobre 2017, l’amministrazione finanziaria ha fornito chiarimenti in merito alla possibilità, per il contribuente, di applicare (o meno) autonomamente, nell’ambito del ravvedimento operoso, la circostanza attenuante di cui all’articolo 1, comma 4, del decreto legislativo 471/1997, qualora l’infedeltà dichiarativa commessa sia conseguenza di un errore sull’imputazione temporale di elementi positivi o negativi di reddito.

La questione interpretativa, prospettata nell’ambito di una consulenza giuridica, trae spunto dal seguente caso concreto. Nell’avviare un’attività istruttoria nei confronti di una società, l’Amministrazione finanziaria ha rilevato la non corretta deduzione, per più anni d’imposta, degli accantonamenti relativi alle spese di cui all’articolo 107, comma 2, del Tuir.

La violazione, qualificata dagli organi accertatori come “errore legato all’imputazione temporale di elementi negativi di reddito”, ha determinato, per la prima annualità in cui è stata rilevata, l’emissione di un avviso di accertamento, con il quale è stata comminata la sanzione per infedele dichiarazione, ridotta di un terzo (articolo 1, comma 4, Dlgs 471/1997).

Poiché il medesimo errore è stato commesso anche in periodi d’imposta successivi a quello oggetto di accertamento, la società ha manifestato la volontà di “ravvedersi”, usufruendo della stessa sanzione ridotta.

Prima di esaminare nel dettaglio i chiarimenti forniti con la risoluzione 131/E è bene ricordare che, attraverso il decreto legislativo 158/2015, è stata data attuazione a una delle deleghe previste dalla legge 23/2014, per la regolamentazione delle sanzioni sia a carattere penale sia amministrativo.

Nell’ambito di quelle amministrative, la legge 23 ha previsto un nuovo sistema sanzionatorio con il preciso scopo di collegare in modo più incisivo le sanzioni all’effettiva gravità dei comportamenti.

La delega fiscale, infatti, ha perseguito tre finalità:

riproporzionare le sanzioni in relazione al danno effettivamente subito dall’amministrazione finanziaria

inasprire le sanzioni relative ai comportamenti più pericolosi messi in atto attraverso il ricorso a documenti falsi o artifici

ridurre le sanzioni applicabili in ragione del comportamento attivo del contribuente.

È, dunque, in tale contesto che è stata prevista una peculiare disciplina per la dichiarazione infedele. In tal caso, infatti, la sanzione è modulata a seconda del grado di insidiosità della condotta ovvero della sussistenza o meno di un effettivo danno per l’Erario. In tale ambito, attualmente è prevista una riduzione della sanzione ordinaria nei casi in cui l’infedeltà della dichiarazione sia determinata dall’errata imputazione a periodo dei componenti negativi e positivi di reddito.

Il regime previgente, invece, prevedeva, nell’ipotesi di infedeltà dichiarativa, una sanzione dal 100 al 200 per cento dell’imposta dovuta o della differenza tra il credito dichiarato e quello effettivamente spettante.

Nel rispetto del principio generale della proporzionalità della sanzione tributaria, il quadro che si è venuto a delineare dopo l’approvazione del decreto legislativo 158/2015 presenta ora tre livelli, rispetto a quello unico che ha caratterizzato il sistema fino al 2015.

In particolare, partendo dalla sanzione base, oggi esiste:

un livello ordinario, in cui la violazione commessa è la conseguenza di una colpa “normale”. Per tali violazioni dichiarative è prevista la sanzione dal 90 al 180 per cento della maggiore imposta dovuta o della differenza del credito utilizzato

un livello maggiorato, tipico delle violazioni caratterizzate dalla frode fiscale (e, quindi, da un particolare livello di rischio). L’aumento scatta quando la violazione è realizzata mediante l’utilizzo di documentazione falsa o per operazioni inesistenti, mediante artifici o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente. Tale misura intende punire talune condotte ritenute dal legislatore particolarmente pericolose ed è finalizzata a colpire in via amministrativa, in modo più severo, le fattispecie di dichiarazione fraudolenta che, per effetto delle modifiche apportate al decreto legislativo 74/2000, non risultano più essere penalmente rilevanti. In tali ipotesi, viene comminata una sanzione che va dal 135 al 270 per cento della maggiore imposta dovuta o della differenza del credito utilizzato

un livello ridotto, tipico delle violazioni a bassa pericolosità fiscale. Se la violazione è di scarso profilo, infatti, la sanzione va dal 60 al 120 per cento della maggiore imposta dovuta o della differenza del credito utilizzato. Tale previsione costituisce la principale novità che riguarda la sanzione relativa all’errata gestione del contenuto delle dichiarazioni fiscali. La misura ridotta viene applicata, innanzitutto, quando la maggiore imposta accertata è inferiore al 3% di quella dichiarata e, comunque, non supera i 30mila euro. In merito, deve essere precisato che la soglia percentuale va individuata calcolando il rapporto tra l’ammontare complessivo del quantum dichiarato e quello del quantum accertato e che la previsione del tetto in misura fissa rappresenta un correttivo volto a scongiurare l’introduzione di una “franchigia di evasione” proporzionale all’ammontare dichiarato, inevitabilmente più alta per i soggetti di grandi dimensioni. La riduzione della sanzione opera anche quando la violazione deriva dall’errore temporale di imputazione di componenti positivi e negativi di reddito (nei casi, cioè, di competenza economica). Per beneficiare dell’abbattimento della sanzione è, però, necessario che il componente positivo sia stato già erroneamente imputato e, quindi, abbia concorso alla determinazione del reddito, nell’annualità in cui interviene l’attività di accertamento o in una precedente. Con riferimento al componente negativo, invece, è necessario che lo stesso non sia stato dedotto più volte. Se non c’è danno erariale, l’errore dell’imputazione per competenza di un componente economico è sanzionato nella misura fissa di 250 euro. Ovviamente, le ipotesi di riduzione sanzionatoria descritte non operano se il contribuente ha adottato condotte fraudolente.

Sull’operatività delle attenuanti da ultimo esaminate sono sorti alcuni dubbi. Quello principale attiene al fatto che la norma che le disciplina (articolo 1, comma 4, Dlgs 471/1997) sembra consentirne l’applicazione alla sola amministrazione finanziaria in sede di formalizzazione di un atto impositivo a carico del contribuente.

Al riguardo, la risoluzione chiarisce che, in linea generale, le riduzioni in esame possono essere applicate solo in sede di accertamento, con la conseguenza che il contribuente non può tenerne autonomamente conto per determinare la sanzione in caso di ravvedimento operoso. Detta conclusione, che risulta confermata anche dal tenore letterale della relazione illustrativa al decreto legislativo 158/2015, trova fondamento nel fatto che solo gli organi accertatori possono effettuare un’analisi ponderata di tutte le irregolarità riscontrate, al fine di verificare l’esiguità dell’evasione e/o la scarsa insidiosità della condotta posta in essere.

Se questo è il principio di carattere generale, nel documento di prassi in esame si afferma che la cautela sopra rappresentata non sembra sussistere qualora si sia in presenza di un errore sull’imputazione temporale di elementi positivi o negativi di reddito rilevato, in un’annualità, dall’amministrazione finanziaria e reiterato, dal contribuente, in più periodi d’imposta. E ciò perché, in tal caso, il contribuente non è chiamato a inquadrare la violazione commessa (e reiterata) nella tipologia “errata imputazione temporale” in quanto la stessa è stata già così qualificata dall’organo accertatore. Ne consegue, che solo in detta ipotesi il contribuente può autonomamente regolarizzare la violazione già contestata dall’amministrazione, ravvedendo, per le annualità successive a quella accertata, la sanzione nella misura ridotta.

Infine, la risoluzione ricorda agli uffici che, nell’ipotesi di “concorso formale omogeneo” (con una sola azione od omissione si commettono più violazioni della medesima disposizione), è comunque possibile applicare i principi fissati dall’articolo 12, comma 5, del decreto legislativo 472/1997, sempreché le annualità in contestazione non siano state definite con adesione, mediazione tributaria e conciliazione giudiziale.

Fonte: Fisco-Oggi

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