Paolo Soro

Convenzione Italia – Vaticano: niente Modello OCSE

Agli onori della cronaca parlamentare, in questi giorni, la ratifica della Convenzione tra la Santa Sede e il Governo della Repubblica italiana. Nonostante la solita fanfara governativa, il testo è ben lungi dall’essere in linea col Modello Convenzionale OCSE. Unica certezza, il venir meno alle raccomandazioni dettate nell’Action 6 del Piano BEPS.

Si sta definitivamente concludendo in questi giorni, l’iter concernente la ratifica della nuova Convenzione bilaterale in materia fiscale tra lo Stato del Vaticano e la Repubblica italiana. L’argomento merita di essere approfondito, atteso che tutti i Media da tempo puntano il dito contro gli arcinoti “paradisi fiscali” esotici, dimenticando che gli italiani (popolo soggetto alla più alta pressione fiscale e col maggior livello di evasione), in realtà, non hanno mai avuto bisogno di percorrere tanta strada per giungere in “paradiso”. E a proposito del “puntare il dito”, la memoria torna inevitabilmente al famoso “Index Librorum Prohibitorum” (l’indice dei libri proibiti), istituito alla chiusura del Concilio di Trento, nel quale venivano elencate tutte quelle pubblicazioni che la Chiesa cattolica giudicava contrarie all'ortodossia, o moralmente dannose, e delle quali vietava la lettura.

Ebbene, in base a tali prerogative, non v’è dubbio che la Convenzione qui in argomento avrebbe subito trovato posto nell’Index citato. Oggi che detto “Indice” è stato abolito, dovremo per così dire accontentarci di includerla nel novero di quei documenti che violano le raccomandazioni OCSE, dettate nell’Action 6 del Piano BEPS: Treaty Abuse (tutto sommato, ben poca cosa rispetto al XVI secolo: l’OCSE non è esattamente come l’Inquisizione romana di Paolo III).

Tornando al tema attuale, nonostante i vari portavoce governativi (in primis, la rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate, Fisco-Oggi) si siano premuniti di proclamare la totale e assoluta corrispondenza della nascente Convenzione all’OECD Model Tax Convention, la realtà è ben diversa; e, francamente, non occorre essere dei commercialisti per accorgersene: basta saper leggere.

In partenza, già appare strano che, contrariamente al Modello OCSE il quale prevede una trentina di articoli, la Convenzione qui in argomento sia costituita da appena 14 articoli; ma ciò che conta è il contenuto; per cui andiamo ad analizzarlo.

La Relazione di accompagnamento al Disegno di Legge recante “Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e la Santa Sede in materia fiscale”, riporta il seguente incipit:

La Convenzione recepisce, in linea con il processo in atto verso l’affermazione a livello globale della trasparenza nel campo delle relazioni finanziarie, il più aggiornato standard internazionale in materia di scambio di informazioni di natura fiscale (articolo 26 del Modello OCSE) al fine di disciplinare la cooperazione amministrativa tra le autorità competenti delle due Parti contraenti.

Benissimo! Vediamo… L’articolo 26 del Modello OCSE stabilisce:

Le Autorità competenti dei Paesi Contraenti devono scambiare ogni informazione che sia necessaria per l’attuazione della Convenzione o delle normative nazionali concernenti le imposte di qualsiasi tipo e descrizione riscosse per conto dei Paesi Contraenti, o delle loro sottodivisioni politiche o delle Autorità locali. Lo scambio di informazioni non deve essere ristretto a quanto qui previsto.

La disposizione parallela inserita nella Convenzione Italia-Vaticano dispone:

Le autorità competenti delle Parti contraenti si scambiano le informazioni verosimilmente rilevanti per applicare le disposizioni della presente Convenzione oppure per l’amministrazione o l’applicazione del diritto interno relativo alle imposte di qualsiasi natura o denominazione riscosse per conto delle Parti contraenti, delle loro suddivisioni politiche o enti locali.

Fin qui, il significato è simile; a parte – certo – quel “verosimilmente rilevanti” che lascia un pochino perplessi. Proseguendo nella lettura, si scopre il “trucco”.

La Convenzione aggiunge, infatti, una serie di paragrafi che non sono previsti nel Modello OCSE:

Se le informazioni sono richieste da una Parte contraente in conformità del presente articolo, l’altra Parte contraente usa i poteri a sua disposizione al fine di ottenere le informazioni richieste…

Intanto, non è chiaro cosa voglia dire “usa i poteri a sua disposizione”: da un lato, pare più una minaccia, che una normale attività di accertamento; per contro, non si comprende quali mai potrebbero essere quei poteri che non permettono questo tipo di verifiche.

Ma il punto focale è un altro: la premessa precisa, infatti, che non è previsto alcuno scambio automatico di informazioni (“se le informazioni sono richieste…”), contrariamente all’attuale schema prescritto dall’OCSE che viceversa imporrebbe lo scambio automatico di informazioni, e non quello meramente a richiesta.

Nell’improbabile eventualità, poi, che la reale volontà delle “Parti” non fosse stata sufficientemente chiara, l’articolo torna subito dopo a ribadire questi elementi:

La Parte richiedente deve sfruttare tutte le fonti d’informazione abituali previste dalla propria procedura fiscale interna prima di richiedere informazioni.

Non solo, dunque, non esiste alcuno scambio automatico, ma addirittura vi sono dei vincoli per poter inoltrare la richiesta. E i limiti non finiscono qui:

Le autorità fiscali della Parte richiedente, all’atto della richiesta di informazioni, forniscono alle autorità competenti della Parte richiesta le seguenti informazioni:

i)          l’identità della persona oggetto del controllo o dell’inchiesta;

ii)         il periodo di tempo oggetto della domanda;

iii)        la descrizione delle informazioni richieste, nonché indicazioni sulla forma nella quale la Parte richiedente desidera ricevere tali informazioni dalla Parte richiesta;

iv)        lo scopo fiscale per cui le informazioni sono richieste;

v)         se sono noti, il nome e l’indirizzo del detentore presunto delle informazioni richieste.

Vi è, insomma, un elenco preciso di elementi (spesso non tutti a disposizione dell’Autorità di interesse), che devono essere indicati nella richiesta. In caso contrario, l’altra Parte (curioso pure come questa sia l’unica Convenzione che utilizza il termine “Parte” al posto di “Paese”) potrebbe legittimamente non rispondere. Anche detta previsione, superfluo ricordarlo, è ben lungi dall’essere in linea con le raccomandazioni dell’OCSE, le quali oggigiorno prevedono lo scambio automatico di informazioni sulla base di un modello universale, ossia valido per tutte le giurisdizioni, che include ben altro tipo di notizie da fornire.

Interessante, tra tutti, il secondo elemento: vale a dire, il periodo di tempo oggetto della domanda. A fugare la curiosità interviene una successiva disposizione inserita nella Convenzione:

Le disposizioni del presente articolo sono applicabili alle domande di informazioni presentate dalla Parte richiedente alla Parte richiesta a partire dalla data di entrata in vigore della presente Convenzione e che si riferiscono a fatti esistenti o circostanze realizzate a partire dal 1° gennaio 2009.

Prima, dunque, è tutto condonato o prescritto, indipendentemente da possibili implicazioni di carattere penale.

Non è finito qui; tornando a quell’equivoca locuzione “verosimilmente rilevanti”, la Convenzione precisa:

Il riferimento a informazioni “verosimilmente rilevanti” ha lo scopo di garantire uno scambio di informazioni in ambito fiscale il più ampio possibile, senza tuttavia consentire alle Parti contraenti di intraprendere una ricerca generalizzata e indiscriminata di informazioni (“fishing expedition”) o di domandare informazioni la cui rilevanza in merito agli affari fiscali di un determinato contribuente non è verosimile.

Per carità, tutti siamo contrari alle attività di fishing expedition (e non solo per ragioni di tutela della privacy), ma pare evidente che qui si stia passando da un eccesso all’altro; e, comunque, quel che è oggettivamente certo, è che nulla appare più lontano dalle raccomandazioni dettate dall’OCSE.

Ovviamente, la Convenzione non si ferma qui e dà – sempre secondo la Relazione di accompagnamento – completa attuazione al Modello OCSE.

Sarò vero? A questo punto il dubbio è legittimo. Soddisfiamo anche tale ulteriore curiosità.

Come noto, l’art. 25 dell’OECD Model Tax Convention disciplina la risoluzione di eventuali controversie tra le nazioni interessate attraverso le MAP (Mutual Agreement Procedure, ossia le procedure di accordo reciproco). La questione – a giudizio dell’OCSE – necessita di una serie di importanti precisazioni che hanno comportato anche l’emanazione di svariati ulteriori documenti di approfondimento; seppure, l’articolo in oggetto sia già di per sé stesso particolarmente corposo:

  1. 1.      Quando una persona ritiene che le azioni di uno o di entrambi i Paesi Contraenti risultino o possano risultare in una tassazione nei suoi confronti non in conformità con le previsioni di questa Convenzione, egli deve, indifferentemente dai rimedi previsti dalle normative di quei Paesi, presentare il suo caso alle Autorità competenti del Paese Contraente di cui è residente o a quelle del Paese Contraente di cui è un cittadino nazionale. Il caso deve essere presentato entro tre anni dalla prima notifica ricevuta.
  2. 2.      Le Autorità competenti devono adoperarsi, qualora l’obiezione paia essere fondata e qualora, individualmente, non siano in grado di arrivare a una soluzione soddisfacente per risolvere il caso, rimettendolo alla soluzione attuata mediante un accordo reciproco (MAP) con le Autorità competenti dell’altro Paese Contraente, al fine di evitare una tassazione che risulti non conforme alla Convenzione. Qualsiasi accordo ottenuto deve essere soggetto a continua implementazione.
  3. 3.      Le Autorità competenti dei Paesi Contraenti devono adoperarsi per risolvere mediante accordo reciproco qualsiasi difficoltà o dubbio che possa sorgere sull’interpretazione o l’applicazione della Convenzione. Possono anche consultarsi per eliminare la doppia imposizione in casi non previsti dalla Convenzione.
  4. 4.      Le Autorità competenti dei Paesi Contraenti devono comunicare direttamente l’una con l’altra, anche mediante un’apposita Joint Commission composta da loro stesse o da loro rappresentanti, ai fini del raggiungimento di un accordo nella direzione su indicata.

A fronte di tale dettagliata previsione, la Convenzione Italia-Vaticano inserisce siffatte clausole all’art. 11 (Risoluzione delle controversie):

Le autorità competenti delle Parti contraenti faranno del loro meglio per risolvere per via di amichevole composizione le difficoltà o i dubbi inerenti all'interpretazione o all'applicazione della Convenzione.

Tutto qui… faranno del loro meglio… potete anche sganasciarvi dalle risate (come abbiamo fatto noi, la prima volta che l’abbiamo letta).

La clausola che invece – ovviamente – manca nel Modello OCSE e che – non scherziamo – è stata inserita nella Convenzione Italia-Vaticano, è quella che lascia inalterati i privilegi fiscali, già così dissennatamente previsti nei famigerati Patti Lateranensi; e non stiamo parlando soltanto delle ben note esenzioni immobiliari, ma più in generale di qualunque ulteriore reddito; tanto che pare persino risibile parlare di Convenzione in materia fiscale, laddove abbiamo a che fare – di fatto – con un accordo che cerca in tutti i modi di garantire l’anonimato per le operazioni eseguite all’interno dello Stato del Vaticano, non apportando alcuna modifica sostanziale alla situazione previgente.

La norma a cui intendiamo fare riferimento, sviluppata in maniera criptica in ossequio all’Italian Style legal-politichese (sperando, forse, di passare inosservata), è quella di cui all’art. 5 – “Altre disposizioni”, un titolo che da solo è tutto un programma:

Resta ferma la non applicabilità delle disposizioni di cui all’articolo 2, paragrafi 4, 5 e 6, nonché delle disposizioni di cui agli articoli 3 e 4, per i redditi di impresa, i redditi fondiari e i redditi diversi di cui all’articolo 6, comma 1, lettera f) del TUIR, ad esclusione dei redditi diversi generati dalle attività di cui all’articolo 2, paragrafo 4, di pertinenza dei soggetti di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera b).

Una concatenata serie di richiami normativi che costituiscono in pratica un salvacondotto per l’esenzione dei redditi eventualmente prodotti in Italia da tutti gli Istituti di Vita Consacrata, le Società di Vita Apostolica e gli altri enti con personalità giuridica canonica o civile vaticana.

Evitiamo di andare oltre con l’analisi delle singole clausole inserite in questa “Convenzione” (il virgolettato, a questo punto, è d’obbligo) e ci limitiamo, in sede di conclusioni, ad alcune brevi riflessioni.

I menzionati Patti Lateranensi sono una Legge dello Stato. Se si fosse davvero applicato l’OECD Model Tax Convention, svariate clausole della Convenzione sarebbero state in conflitto con quelle della Legge in questione. Si sarebbe conseguentemente posto un problema di gerarchia delle fonti: vale la Convenzione o la Legge dello Stato? Ebbene, come ai più noto, tra le due prevale la Convenzione.

La Costituzione della Repubblica italiana, all’art. 117, comma 1, infatti afferma che:

La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Ergo, per effetto del citato disposto costituzionale, le norme convenzionali prevalgono sulle Leggi dello Stato. Se, però, certuni non ritenessero sufficiente il dettato letterario dell’articolo in questione, la stessa Corte Costituzionale (sentenze 348 e 349 del 2007) è intervenuta per ribadire espressamente che le convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni assumono un rango intermedio nella gerarchia delle fonti interne: sono subordinate alla Costituzione, ma sovraordinate rispetto alla Legge, che quindi non può violarne le disposizioni.

Orbene, è a tutti evidente quale sarebbe stato il risultato di una Convenzione Italia-Vaticano rispettosa dell’OECD Model Tax Convention.

Per carità, il governo (sia esso ordinariamente eletto o auto-proclamato, come quello attuale) ha il potere di stipulare i trattati che desidera, fatta salva la ratifica parlamentare. Essendo l’Italia, peraltro, Paese membro dell’OCSE, ed essendosi in quanto tale impegnata in sede di G20 alla sottoscrizione delle clausole di cui al piano BEPS, risulta oggettivamente inadempiente relativamente all’Action 6 – Treaty Abuse (ossia, i rischi derivanti dagli abusi perpetrati attraverso l’inserimento di clausole convenzionali non coerenti col Modello OCSE). Invitiamo coloro che volessero approfondire l’argomento alla lettura dell’articolo da noi recentemente pubblicato – link diretto:

http://www.paolosoro.it/news/843/BEPS-Le-Azioni-5-6.html

Ma al di là dei problemi BEPS, ciò che ci crea notevole “imbarazzo” sono le affermazioni scritte nella Relazione di accompagnamento, le quali suonano come una vera e propria presa in giro per i cittadini e, soprattutto, come un’offesa bella e buona all’intelligenza e alla conoscenza della materia di tutti i commercialisti.

Di seguito, ci limitiamo a riportarne alcune ulteriori esemplificative affermazioni:

L’articolo 1 introduce lo scambio di informazioni a fini fiscali sulla base del più aggiornato standard dell’OCSE di cui all’Articolo 26 del Modello di Convenzione contro le doppie imposizioni. Tali disposizioni consentono alle autorità delle Parti contraenti di scambiare le informazioni in relazione alle imposte di qualsiasi natura o denominazione e, pertanto, di operare un efficace contrasto all’evasione fiscale. 

Ulteriori disposizioni in tema di scambio di informazioni disciplinano gli aspetti procedurali attuativi della cooperazione amministrativa. In conformità ai principi OCSE, tali disposizioni prevedono le condizioni e le modalità di effettuazione delle richieste.

L’articolo 11 contiene disposizioni finalizzate alla risoluzione di eventuali controversie derivanti dall’interpretazione o dall’applicazione della Convenzione.

Lasciamo al lettore ogni ulteriore considerazione o commento. A noi pare evidente che il “paradiso… fiscale” esiste; e si trova giusto fuori dell’uscio di casa.

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