Paolo Soro

Place of effective management: ennesima conferma della Cassazione

Al fine di stabilire se il reddito prodotto da una società possa essere sottoposto a tassazione in Italia, assume rilevanza decisiva il fatto che l'adozione delle decisioni riguardanti la direzione e la gestione dell'attività di impresa avvenga nel territorio italiano, nonostante la società abbia localizzato la propria residenza fiscale all'estero (Cassazione Civile, Sezione Tributaria, 09/03/2021, N. 6476).

Al fine di stabilire se il reddito prodotto da una società possa essere sottoposto a tassazione in Italia, assume rilevanza decisiva il fatto che l'adozione delle decisioni riguardanti la direzione e la gestione dell'attività di impresa avvenga nel territorio italiano, nonostante la società abbia localizzato la propria residenza fiscale all'estero (Cassazione Civile, Sezione Tributaria, 09/03/2021, N. 6476).

Come noto, si ricade nella fattispecie dell’estero-vestizione allorché un soggetto d’imposta sottragga al potere impositivo nazionale, in maniera strumentale o meno, delle attività d’impresa che siano teoricamente suscettibili di produrre materia reddituale attiva (aziende industriali, commerciali, etc.), ovvero passiva (dividendi, interessi, utili, royalties – c. d. passive income). In sostanza, se la residenza effettiva contraddice quella formale, siamo di fronte a un tipico caso di estero-vestizione.

La disposizione normativa è quella di cui all’art. 73, commi 3 e 5-bis, del TUIR.

In particolare, il comma 3 stabilisce che:

Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato”.

Il comma 5-bis afferma che, salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell'amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, Codice Civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1 (vale a dire: società per azioni e in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, cooperative, società di mutua assicurazione, enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché trust residenti nel territorio dello Stato che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali), i quali, alternativamente:

-          a) sono controllati, anche indirettamente, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;

-          b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza da consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

L’ipotesi elusiva tipica che tale ultima disposizione mira fondamentalmente a combattere è quella delle società Italiane che costituiscono una holding estera (in genere, di diritto lussemburghese), la quale detiene a cascata la partecipazione di società Italiane.

Da notare, poi, che (come indicato al comma 5-ter), ai fini della verifica, rileva la situazione esistente alla data di chiusura dell'esercizio (o periodo di gestione del soggetto estero) e che, ai medesimi fini, per le persone fisiche, si tiene conto anche dei voti spettanti ai familiari.

Schematizzando quanto appena riportato, laddove il management della società o ente estero sia principalmente composto da soggetti che, per la maggior parte del periodo dell’anno, sono residenti in Italia, potremmo incorrere in un’ipotesi di estero-vestizione. Il condizionale è d’obbligo, poiché la disposizione premette la locuzione “salvo prova contraria”: vale a dire che ci troviamo di fronte all’ennesima presunzione prevista dall’ordinamento tributario, certamente suscettibile di dimostrazione contraria, ma che comunque, ab initio, impone un’evidente inversione del naturale onere della prova, spostandolo a carico del contribuente.

Tra i citati tre requisiti iniziali, appare dunque chiaro come il POEM (Place Of Effective Management – sede effettiva dell’amministrazione) sia quello che risulti presentare le maggiori criticità. Lo stesso Modello Convenzionale dell’OCSE, all’art. 4, afferma infatti che, nell’ipotesi di doppia residenza di una società, quale criterio discriminante debba essere preso in considerazione proprio il Place Of Effective Management.

Orbene, in quanto luogo in cui si formano le principali decisioni strategiche della gestione, il POEM viene di regola identificato con la sede in cui si riunisce l’organo amministrativo. Conseguentemente, il registro delle adunanze del CDA sarà oggetto di opportuna verifica da parte del Fisco.

Cionondimeno, se dei soggetti (persone fisiche con residenza in Italia) compongono in prevalenza l’organo amministrativo, sicuramente sarà alquanto arduo vincere la presunzione di residenza connessa al POEM, pensando di far passare la propria tesi semplicemente sulla base di un verbale che riporti la sede estera come quella nella quale si sono svolte le varie riunioni dell’organo amministrativo, o magari solo in funzione del tipo di lingua usata nel trascrivere lo stesso verbale.

Invero, il parametro cui l’Agenzia delle Entrate porrà particolare cura con riferimento al POEM sarà piuttosto quello concernente la complessiva attività di direzione e di coordinamento (seppure, superfluo rimarcarlo, trattasi sempre di un’opinione di parte). Ebbene, laddove tale attività si trasformi – a esempio – in una costante ingerenza nella vita quotidiana della società, risulterà inevitabile far coincidere la residenza della società estera con quella di chi è deputato a compiere (o, comunque, indirizzare regolarmente) gli atti di gestione, proprio in virtù della sopra citata presunzione prevista nella richiamata disposizione normativa.

Tale presunzione, a detta dell’Amministrazione Finanziaria, può essere vinta fornendo valide prove circa l’effettività della residenza. Queste prove possono venire riepilogate nell’elenco che segue:

-          documenti atti a dimostrare che le riunioni del CDA si sono concretamente svolte all’estero (biglietti aerei, ricevute di alberghi, ristoranti, bus, metro, taxi etc., concomitanti con la data delle riunioni);

-          documenti che dimostrano l’effettiva esecuzione di atti autonomi da parte dei membri del locale CDA (progetti, presentazioni, meeting e ogni altra documentazione diretta a migliorare l’economicità della società non residente);

-          documenti, anche fattuali, testimonianti il grado di autonomia funzionale della società non residente e del suo personale dal punto di vista organizzativo, amministrativo, finanziario e contabile (direttive interne, contratti di natura commerciale e finanziaria, corrispondenza ordinaria con soggetti terzi, apertura e gestione dei conti correnti bancari, richiesta di mutui o prestiti etc.), vale a dire qualunque documentazione che sia in condizione di provare l’effettivo svolgimento in loco dell’intera gestione operativa della società non residente.

In proposito, i principali indici di controllo reputati dall’Amministrazione Finanziaria sintomatici ai fini della collocazione in Italia dell’effettivo potere decisionale/amministrativo, onde consentire di verificare l’esistenza di una società estero-vestita, sono i seguenti:

-          mail scambiate tra residenti e non residenti;

-          documenti personali degli amministratori della società non residente;

-          concomitanza degli stessi soggetti nei CDA delle due società (residente e non residente);

-          qualifica professionale degli amministratori esteri (ossia, se sono persone di comodo, o magari soggetti che abitualmente svolgono la funzione di “amministratori” per conto anche di altre società);

-          residenza effettiva della società non residente (eventuale sede presso lo studio di qualche professionista locale: commercialista, avvocato, società di consulenza, etc.);

-          abituale svolgimento delle riunioni del CDA presso la sede estera;

-          verbali di assemblea dei soci (quindi, come anzidetto: verifica del luogo in cui sono materialmente deliberati – ancorché eseguiti – gli atti di gestione);

-          contratti della società non residente e luogo effettivo in cui sono stati conclusi;

-          disponibilità di conti correnti bancari italiani ed eventuale gestione dall’Italia di conti correnti bancari esteri.

A tale contesto appartiene la vicenda processuale decisa dalla Cassazione nella sentenza de quo.

L’Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento, recuperando a tassazione i redditi di una holding lussemburghese sul presupposto che, pur essendo formalmente residente – per l’appunto – in Lussemburgo, la stessa in realtà operava soltanto in Italia. Dagli elementi di fatto tratti nel corso delle indagini condotte dalla Guardia di Finanza, in effetti, risultava che la gestione della holding fosse localizzata in Italia, così che, alla stregua del D.lgs. n. 917 del 1986, art. 73, non era rilevante "che la società fosse stata costituita all'estero, se la stessa ha nel territorio dello Stato la sede amministrativa o l'oggetto principale, potendosi, dunque, verificare il caso di società formalmente estere, ma fiscalmente residenti in Italia".

Dunque, un tipico caso di estero-vestizione come rappresentato nell’incipit di questo articolo.

A fronte di tale accertamento, la società presentava ricorso, risultante vittoriosa sia in Primo Grado che nell’appello proposto dall’Ufficio davanti alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio. A sostegno di tale statuizione, il Giudice dell’Appello affermava non dimostrato il fatto che la società operasse in Italia, non essendo stata fornita alcuna prova "con riguardo alle specifiche operazioni poste in essere dalla società nel territorio italiano in termini di beni ceduti, servizi prestati e beni ricevuti".

Senonché, come appena sopra sottolineato, l’onus probandi qui è in capo alla società; non all’Amministrazione.

Contro tale pronuncia, l’Agenzia presentava allora ricorso per Cassazione affidato a tre motivi.

Con il primo motivo di ricorso, l'Agenzia delle entrate denuncia nullità della sentenza per violazione dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e del D.lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (motivazione apparente), in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La ricorrente lamenta che la pronuncia gravata, nell'escludere che la holding fosse una società estero-vestita, in quanto l'Ufficio non aveva provato il compimento, da parte della stessa, di specifiche operazioni sul territorio nazionale, non si è confrontata con le deduzioni svolte, specificamente intese a valorizzare il fatto, emerso dalla verifica, che "tutti gli impulsi volitivi per la gestione della società provenivano dall'Italia", così che la mancata dimostrazione di specifiche operazioni poste in essere dalla società nel territorio italiano o la mancata acquisizione di documentazione bancaria che dimostrasse l'oggettiva e precisa operatività in Italia della Società, dovevano ritenersi del tutto ininfluenti.

Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.lgs. n. 917 del 1986, art. 73, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si assume, in particolare, che il Giudice dell'Appello, non valorizzando il profilo illustrato dalla difesa erariale della localizzazione del centro decisionale della holding nel territorio nazionale, ma soffermandosi esclusivamente sulla circostanza del mancato compimento, da parte della società verificata, di specifiche operazioni in Italia, non avesse fatto corretta applicazione della norma.

E, in effetti, come più volte ricordato, trattasi di una delle tante norme nelle quali il Legislatore prevede in capo all’Erario la possibilità di procedere mediante presunzioni, salva prova contraria che incombe sul contribuente.

Con il terzo motivo l'Amministrazione ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 654 c.p.p., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Commissione Tributaria Regionale attribuito rilevanza alle risultanze del procedimento penale a carico del presidente del consiglio di amministrazione della holding, coinvolto nella gestione di diverse società ritenute responsabili di evasione.

Il Supremo Collegio reputa infondato il primo motivo, accolto il secondo e assorbito il terzo.

Più nello specifico, quanto al primo motivo, la Corte premette che, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nel testo novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile ratione temporis al giudizio) – il sindacato di legittimità sulla motivazione della sentenza può operare solo entro il "minimo costituzionale" (Cass. Sez. U, 7/4/2014, n. 8053, nonché, tra le altre, Cass. Sez. 3, 20/11/2015, n. 23828; Cass. Sez. 3, 5/7/2017, n. 16502), investendo esclusivamente le ipotesi di motivazione "meramente apparente", configurabili, oltre che nel caso di "carenza grafica" della motivazione, quando questa, "benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento" (Cass. Sez. U, 3/11/2016, n. 22232), in quanto affetta da "irriducibile contraddittorietà" (Cass. Sez. 3, 12/10/2017, n. 23940), ovvero connotata da "affermazioni inconciliabili" (Cass. Sez. L, ord. 25/6/2018, n. 16611); mentre resta irrilevante il semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (Cass. Sez. 2, ord. 13/8/2018, n. 20721).

Nessuna delle suddette ipotesi è ravvisabile nel caso di specie. L'esposizione delle ragioni poste a fondamento della decisione, considerata nel suo complesso, ossia nella totalità delle sue componenti testuali, risulta, invero, idonea a rendere conoscibile il percorso logico-giuridico seguito dalla Commissione Tributaria Regionale.

A tal proposito, una considerazione complessiva dell’impianto motivazionale permette di riscontrare una ratio decidendi, la quale, a prescindere da ogni osservazione sulla validità del fondamento giuridico a essa sotteso, è chiaramente identificabile nella valorizzazione dell'assenza di prova di specifiche operazioni svolte dalla società verificata nel territorio nazionale, dalla quale il Giudice dell'Appello ha desunto l'inconfigurabilità della fattispecie della estero-vestizione, ossia della fittizia localizzazione all'estero della residenza fiscale da parte della società.

Il discorso appare profondamente differente con riguardo alla seconda censura (che, viceversa, merita accoglimento), con la quale l'Agenzia delle entrate denuncia violazione di legge, per non avere la Commissione Tributaria Regionale attribuito rilevanza, al fine di ritenere la società verificata assoggettabile al regime fiscale italiano ai sensi del D.lgs. n. 917 del 1986, art. 73, alla circostanza, emersa dall'accertamento, che le decisioni fondamentali del management necessarie alla sua gestione venissero assunte in Italia.

Invero, come recentemente ribadito dalla S. C., al fine di stabilire se il reddito prodotto da una società possa essere sottoposto a tassazione in Italia, assume rilevanza decisiva il fatto che l'adozione delle decisioni riguardanti la direzione e la gestione dell'attività di impresa avvenga nel territorio italiano, nonostante la società abbia localizzato la propria residenza fiscale all'estero (Cass. Sez. 5, 21/6/2019, n. 16697; Cass. Sez. 5, del 7/2/2013, n. 2869; Cass. Sez. 5, 21/12/2018, n. 33234).

Tale ricostruzione risulta coerente con la lettera dell'art. 73, comma 3 (decreto citato), ai sensi del quale "ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d'imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio della Stato".

La S. C. ha, infatti, avuto modo di precisare che la nozione di "sede dell'amministrazione", in quanto contrapposta alla "sede legale", deve ritenersi coincidente con quella di "sede effettiva" (di matrice civilistica), intesa come il luogo dove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell'ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l'accentramento – nei rapporti interni e con i terzi – degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell'impulso dell'attività dell'ente (in tal senso, Cass. Sez. 5, 21/6/2019, n. 16697, con ampia e condivisa motivazione; nonché, Cass. n. 3604 del 1984; Cass. n. 5359 del 1988; Cass. n. 497 del 1997; Cass. n. 7037 del 2004; Cass. n. 6021 del 2009; Cass. Sez. 6-3, 28/1/2014, n. 1813).

D’altronde, sulla stessa linea si è posta pure la Corte di Giustizia UE nella sentenza del 28 giugno 2007, Planzer Luxembourg Sarl, in cui è stato affermato che la nozione di sede dell'attività economica "indica il luogo in cui vengono adottate le decisioni essenziali concernenti la direzione generale della società e in cui sono svolte le funzioni di amministrazione centrale di quest'ultimo (punto 60)".

E' stato, inoltre, chiarito che la fattispecie della estero-vestizione, tesa ad accordare prevalenza al dato fattuale dello svolgimento dell'attività direttiva presso un territorio diverso da quello in cui ha sede legale la società, non contrasta con la libertà di stabilimento.

Se ne trae conferma dalla sentenza della Corte di Giustizia UE 12 settembre 2006, C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (richiamata da Cass. Sez. 5, 21/6/2019, n. 16697, cit.), la quale, con riferimento al fenomeno della localizzazione all'estero della residenza fiscale di una società, ha stabilito che la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per sé sola un abuso di tale libertà; tuttavia, una misura nazionale che restringa la libertà di stabilimento è ammessa se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate a escludere la normativa dello Stato membro interessato.

La sentenza impugnata, attribuendo rilevanza, ai fini della verifica della configurabilità della fattispecie di estero-vestizione prospettata dall'Amministrazione finanziaria, al solo fatto del compimento o meno, da parte della società verificata, di specifiche operazioni nel territorio nazionale e trascurando, per converso, di apprezzare se la società avesse stabilito in Italia la concreta sede di assunzione delle decisioni di direzione e gestione dell'attività di impresa, non si è attenuta ai principi sopra esposti e, pertanto, deve essere cassata (per ciò stesso considerando assorbito il terzo motivo di impugnazione), e rinviata per nuovo esame alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Il giudicato, dunque, inserendosi all’interno di un orientamento ben consolidato, ribadisce l’importanza del Place Of Effective Management e la delicatezza di situazioni ricorrenti nel panorama fiscale internazionale, con riguardo alla sempre attuale e più che probabile declaratoria di estero-vestizione delle società formalmente residenti all’estero, specie se in Paesi dotati di regimi tributari privilegiati.

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