Paolo Soro

L’Amministrazione deve provare l’indebito vantaggio fiscale

Nella causa C-273/18, sentenza depositata il 10/07/2019, la Corte di Giustizia europea conferma il fondamentale principio dell’onere della prova, in base al quale, l’Amministrazione che vuole disconoscere la detrazione dell’IVA, deve dimostrare (e non solo presumere, come accade regolarmente in Italia) che vi sia stato un effettivo indebito vantaggio fiscale e che l’operazione contestata sia stata posta in essere esclusivamente a tale fine.

La certezza del diritto trova casa in Europa: non nelle prestigiose sale del Palazzaccio voluto dal Guardasigilli Zanardelli sul lungotevere; ma in Lussemburgo.

La Corte di Giustizia UE (CGUE) è stata chiamata a pronunciarsi in merito al mancato riconoscimento, da parte dell’Amministrazione tributaria lettone (VID), del diritto di detrarre l’IVA concernente taluni acquisti di beni effettuati da una società locale, in quanto detti acquisti in realtà non avrebbero avuto concretamente luogo.

Richiamando preliminarmente il contesto normativo, la CGUE precisa che, per quanto attiene al diritto dell’Unione:

“Sono soggette all’IVA:

-          le cessioni di beni effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale;

-          gli acquisti intracomunitari di beni effettuati a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale.”

Relativamente alle cessioni:

“Costituisce ‘cessione di beni’ il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario”.

Mentre con riguardo agli acquisti:

“Si considera ‘acquisto intracomunitario di beni’ l’acquisizione del potere di disporre come proprietario di un bene mobile materiale spedito o trasportato dal venditore, dall’acquirente, o per loro conto, a destinazione dell’acquirente, in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto del bene”.

Inoltre:

“Si considera come luogo della cessione, se il bene è spedito o trasportato dal fornitore, dall’acquirente o da un terzo, il luogo dove il bene si trova al momento iniziale della spedizione o del trasporto a destinazione dell’acquirente”.

Per contro:

“È considerato luogo d’acquisto intracomunitario di beni il luogo in cui i beni si trovano al momento dell’arrivo della spedizione o del trasporto a destinazione dell’acquirente”.

Orbene, il fatto generatore dell’imposta si verifica al momento dell’effettuazione dell’acquisto intracomunitario di beni; e, detto acquisto si considera effettuato nel momento in cui è considerata definita la cessione di beni analoghi nel territorio dello Stato membro.

Nei casi di acquisti intracomunitari di beni, da un lato, l’IVA diventa esigibile al momento dell’emissione della fattura o, se nessuna fattura è stata emessa entro tale data, alla scadenza del maggior termine indicato nella Direttiva; da altro lato, il diritto alla detrazione sorge quando l’imposta diventa esigibile.

Nello specifico, il soggetto passivo, presso lo Stato membro in cui effettua le operazioni soggette all’imposta (e nella misura in cui i beni e i servizi sono a ciò impiegati), ha il diritto di detrarre dall’importo dell’imposta di cui è debitore:

-          l’IVA dovuta o assolta in tale Stato membro per i beni che gli sono (o gli saranno ceduti e per i servizi che gli sono o gli saranno resi) da un altro soggetto passivo;

-          l’IVA dovuta per gli acquisti intracomunitari dei beni.

Il tenore letterario della norma unionale è il seguente:

“L’IVA è dovuta dal soggetto passivo che effettua una cessione di beni o una prestazione di servizi imponibile” (Art. 193);

“L’IVA è dovuta dalla persona che effettua un acquisto intracomunitario di beni imponibile” (Art. 200).

In relazione a quanto precede, gli Stati membri adottano le misure intese ad assicurare che siano qualificate come acquisti intracomunitari di beni le operazioni che, se fossero state effettuate nel loro territorio da un soggetto passivo che agisce in quanto tale, sarebbero state definite come cessioni di beni. Di conseguenza, detti Paesi membri esentano le cessioni di beni spediti o trasportati, fuori del loro rispettivo territorio (ma sempre all’interno dell’UE), dal venditore, dall’acquirente, o per loro conto, effettuate nei confronti di un altro soggetto passivo, o di un ente non soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto dei beni.

Tutto ciò ricordato, la CGUE osserva in merito al diritto lettone che:

  1. Costituisce cessione di beni l’operazione con cui si trasferisce a un’altra persona il potere di disporre di un bene come proprietario.
  2. Costituisce acquisto intracomunitario di beni la ricezione di beni nel territorio della Lettonia da un altro Stato membro, mediante la quale i beni sono spediti o trasportati, a partire da detto altro Stato membro, dal fornitore, dal destinatario, o per loro conto.
  3. Sono soggette a IVA (quando sono eseguite nel territorio della Lettonia e nell’ambito di attività economiche), le cessioni di beni effettuate a titolo oneroso, incluso l’autoconsumo.
  4. Soltanto chi è registrato come soggetto passivo dinanzi all’Amministrazione, ha il diritto di detrarre nella propria dichiarazione fiscale, dall’IVA versata all’Erario, gli importi indicati nelle fatture corrispondenti che abbia ricevuto da altri soggetti passivi (in relazione a beni e servizi, ai fini delle operazioni proprie soggette a imposizione), incluse le operazioni effettuate all’estero che sarebbero state soggette a imposizione qualora fossero state eseguite nel territorio della Lettonia, oltre all’importo dell’imposta liquidata sugli acquisti di beni a livello intracomunitario ai fini di operazioni proprie soggette a imposizione.
  5. Un soggetto passivo, che riceva beni da un altro soggetto passivo di uno Stato membro diverso, deve liquidare l’importo dell’imposta e corrispondere quest’ultima all’Erario, applicando l’aliquota corrispondente a tale operazione.

Nella fattispecie per cui è causa, si rileva che la KZ è una società con sede in Lettonia che, da febbraio a dicembre 2012, ha dichiarato operazioni di acquisto di beni da un’altra società stabilita in Lettonia, la KF, e ha detratto l’IVA versata a monte relativa a tali operazioni.

In occasione di un accertamento fiscale, il VID ha constatato che tali acquisti erano avvenuti al termine di una catena di operazioni successive tra varie società. Più precisamente, i beni in parola erano stati venduti inizialmente dalla AB (società con sede in Lituania), ad altre due società sempre stabilite in Lettonia. Essi erano stati poi rivenduti da queste ultime a un’ulteriore società (pure stabilita in Lettonia), che li aveva rivenduti alla KF, la quale li aveva, infine, ceduti alla KZ (società che aveva altresì personalmente provveduto al trasporto dei suddetti beni sino al suo impianto situato in Lettonia).

Non avendo potuto trovare una spiegazione logica a tale catena di operazioni, il VID ha considerato, da un lato, che le società intermediarie non avessero in realtà esercitato alcuna attività nella realizzazione dell’acquisto dei beni in oggetto e, dall’altro, che la KZ non poteva ignorare la natura artificiale della suddetta catena.

Il VID ha, dunque, ritenuto che la KZ avesse in realtà acquistato i beni in causa direttamente dalla AB, e ha qualificato gli acquisti in parola come «acquisti intracomunitari». Di conseguenza, ha rettificato le dichiarazioni IVA presentate dalla KZ, includendo il valore dei beni di cui trattasi nel valore dei beni acquistati da altri Stati membri, aumentando conseguentemente l’IVA dovuta e riducendo nel contempo in maniera corrispondente l’IVA versata a monte che la KZ aveva dichiarato.

La KZ ha impugnato tale decisione innanzi al Tribunale amministrativo distrettuale lettone, sostenendo:

-          che erano state soddisfatte tutte le condizioni formali e materiali per poter beneficiare del diritto alla detrazione;

-          che non aveva motivo di dubitare della KF (né della finalità della realizzazione delle sue operazioni);

-          che non aveva ottenuto alcun vantaggio fiscale nell’ambito delle operazioni concluse con tale società.

Poiché il suo ricorso è stato respinto, la KZ ha proposto appello presso la Corte amministrativa regionale lettone, la quale ha confermato la decisione del Giudice di Prime Cure.

La KZ ha, pertanto, proposto ricorso per cassazione innanzi alla Corte suprema lettone, sostenendo che, nel concludere che essa fosse coinvolta in una catena di operazioni artificialmente create al fine di ottenere un vantaggio fiscale, il VID, il Tribunale amministrativo distrettuale e la Corte amministrativa regionale, non avevano indicato quale fosse stato tale vantaggio fiscale che essa, o le altre società coinvolte nelle operazioni in causa, avrebbero ottenuto. Secondo la KZ, anche nel caso in cui essa avesse acquistato i beni in oggetto direttamente dalla AB, avrebbe comunque avuto diritto a detrarre l’IVA concernente l’acquisto di tali beni in quanto «acquisto intracomunitario».

In proposito, il Giudice del rinvio rileva come il fatto che non si riceva un bene direttamente da chi emette la fattura non comporta necessariamente l’esistenza di un occultamento fraudolento del reale fornitore. Conseguentemente, la circostanza che la KZ sia entrata fisicamente in possesso dei beni in parola direttamente presso il deposito della AB, senza riceverli effettivamente da colui che ha emesso la fattura degli stessi (vale a dire, la KF), non può di per sé giustificare la conclusione che la KZ non avesse davvero acquistato i suddetti beni da tale società; di modo che, l’operazione d’acquisto intercorsa tra la KZ e la KF sarebbe stata in realtà simulata, trattandosi in sostanza di una frode IVA.

A questo punto, detto organo giudicante si chiede se – senza dimostrare quale sia l’indebito vantaggio fiscale di cui avrebbero beneficiato il soggetto passivo stesso o le altre persone coinvolte nella catena di operazioni in discussione – sia possibile constatare l’esistenza di pratiche abusive. Pertanto, sospende il procedimento e sottopone alla CGUE la seguente questione pregiudiziale:

“Se l’articolo 168, lettera a), della Direttiva IVA, debba essere interpretato nel senso che osta al divieto di detrazione dell’imposta sul valore aggiunto (versata a monte), qualora tale divieto si basi unicamente sul coinvolgimento consapevole del soggetto passivo nel concepire operazioni simulate, ma non venga indicato in che modo dalle specifiche operazioni sia risultato un pregiudizio a danno dell’Erario – per il mancato pagamento dell’IVA, o come richiesta indebita di rimborso di detta imposta – rispetto a una situazione nella quale le operazioni fossero state concepite conformemente alle loro reali circostanze”.

Sull’anzidetta questione pregiudiziale, poiché risulta dalla decisione di rinvio che la controversia nella causa principale non concerne un caso di frode in materia d’IVA, quanto piuttosto una potenziale pratica abusiva, a parere della Corte, onde fornire una risposta appropriata, è necessario stabilire se, al fine di negare il diritto alla detrazione dell’IVA versata a monte, sia sufficiente constatare la mera esistenza di una pratica abusiva a opera del soggetto passivo (o delle altre persone coinvolte nella suddetta catena), o se invece sia anche necessario dimostrare quale sia stato l’indebito vantaggio fiscale di cui avrebbero beneficiato detto soggetto passivo o tali altre persone.

Ebbene, secondo costante giurisprudenza della Corte, il diritto dei soggetti passivi di detrarre dall’IVA di cui sono debitori, l’IVA dovuta o versata a monte per i beni acquistati e per i servizi loro prestati, costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA istituito dalla normativa dell’Unione (C‑101/16). Nello specifico, il diritto alla detrazione previsto dagli articoli 167 e seguenti della Direttiva IVA costituisce parte integrante del meccanismo dell’IVA e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni. Tale diritto va esercitato immediatamente per tutte le imposte che hanno gravato sulle operazioni effettuate a monte.

Occorre, tuttavia, ricordare che la lotta contro evasioni, elusioni ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla Direttiva IVA. In effetti, i singoli non possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente delle norme dell’Unione. Pertanto, è compito delle Autorità e dei Giudici nazionali negare il beneficio del diritto alla detrazione, laddove sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che lo stesso diritto è invocato fraudolentemente o abusivamente (C‑18/13).

In particolare, la Corte ha avuto modo di affermare che l’accertamento di una pratica abusiva in materia d’IVA richiede la sussistenza di due condizioni:

-          che le operazioni di cui trattasi, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della Direttiva IVA e della normativa nazionale di trasposizione, abbiano come risultato l’ottenimento di un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da dette disposizioni;

-          che da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo essenziale delle operazioni di cui trattasi, si limita all’ottenimento di tale vantaggio fiscale (C‑419/14).

In questo contesto, come correttamente osservato dal Giudice del rinvio, occorre ricordare che il fatto che si riceva un bene direttamente da colui che emette la fattura, non è necessariamente la conseguenza di un occultamento fraudolento del reale fornitore, e non costituisce per forza una pratica abusiva. Può, infatti, avere altre motivazioni, come, in particolare, l’esistenza di due vendite successive riguardanti i medesimi beni, i quali, su preciso ordine, sono trasportati direttamente dal primo venditore al secondo acquirente; cosicché, si verificano due cessioni successive, pur in presenza di un solo trasporto effettivo. Inoltre, non è necessario che il primo acquirente sia divenuto proprietario dei beni in parola al momento di tale trasporto, posto che l’esistenza di una cessione ai sensi di tale disposizione non presuppone il trasferimento della proprietà giuridica del bene (C‑33/13).

La Corte rileva che, nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che il VID non ha dimostrato, nella causa di cui al procedimento principale, l’indebito vantaggio fiscale di cui la KZ avrebbe beneficiato; né ha individuato gli eventuali indebiti vantaggi fiscali ottenuti dalle altre società coinvolte nella catena di operazioni successive di vendita dei beni in parola, al fine di verificare se l’obiettivo reale delle suddette operazioni consistesse unicamente nell’ottenimento di un indebito vantaggio fiscale. Conseguentemente, occorre considerare che la sola esistenza di una catena di operazioni e il fatto che la KZ sia entrata fisicamente in possesso dei beni di cui trattasi nel deposito della AB, senza riceverli effettivamente dalla società che compare quale fornitore di tali beni nella fattura (ossia, la KF), non possono, di per sé, giustificare la conclusione che la KZ non abbia acquistato i suddetti beni presso la KF e che, conseguentemente, l’operazione intercorsa tra tali due società, in realtà, non avrebbe avuto luogo.

“Alla luce di tali considerazioni, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, nelle quali l’Autorità tributaria competente non ha fornito alcun elemento di prova che attesti l’esistenza di una pratica abusiva, non può essere negato al soggetto passivo il diritto alla detrazione”.

Con riferimento al resto, la CGUE rileva che il Giudice del rinvio non ha posto alcuna questione rivolta a stabilire quale sia, fra gli acquisti della catena di cui al procedimento principale, quello al quale debba essere imputato l’unico trasporto intracomunitario e che, quindi, sarà il solo a dover essere qualificato come «acquisto intracomunitario». Spetterà, dunque, allo stesso giudice procedere a una valutazione complessiva di tutte le circostanze particolari del caso di specie e determinare, segnatamente, il momento in cui sia avvenuto il trasferimento del potere di disporre del bene come proprietario a favore della KZ (C‑414/17). Dal momento in cui avrà avuto luogo tale trasferimento (prima o dopo il trasporto intracomunitario), dipenderanno, tanto la qualificazione come “acquisto intracomunitario” di uno degli acquisti della catena di cui al procedimento principale, quanto la portata del diritto alla detrazione, o al rimborso dell’IVA a vantaggio della KZ (C‑628/16; C‑691/17). Nell’ipotesi in cui la vendita finale di una catena di cessioni successive, comportanti un unico trasporto intracomunitario, costituisca una “cessione intracomunitaria”, l’acquirente finale non potrà certo detrarsi dall’IVA di cui è debitore, l’importo di quella assolta indebitamente per beni che gli sono stati in concreto forniti nell’ambito di una cessione intracomunitaria esente, sulla sola base della fattura erronea trasmessa dal fornitore (C‑628/16). Tale acquirente potrebbe, invece, chiedere il rimborso dell’imposta indebitamente versata all’operatore che ha emesso una fattura erronea, conformemente al diritto nazionale. D’altronde, in una situazione in cui l’IVA sia stata effettivamente versata all’Erario dal fornitore di cui trattasi, se il rimborso dell’IVA, da parte di quest’ultimo all’acquirente, risultasse impossibile o eccessivamente difficile in caso, per esempio, d’insolvenza del medesimo fornitore, il principio di effettività potrebbe benissimo imporre che tale acquirente rivolga la sua richiesta di rimborso direttamente alle Autorità tributarie (C‑691/17).

In conclusione, rispondendo alla domanda ricevuta, la CGUE (Ottava Sezione) dichiara che:

“L’articolo 168, lettera a), della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 2010/45/UE del Consiglio, del 13 luglio 2010, deve essere interpretato nel senso che, per negare il diritto di detrarre l’imposta sul valore aggiunto (IVA) versata a monte, la circostanza che un acquisto di beni sia avvenuto al termine di una catena di operazioni di vendita successive tra varie persone e che il soggetto passivo sia entrato in possesso dei beni in oggetto nel deposito di una persona facente parte di tale catena, diversa dalla persona che compare quale fornitore sulla fattura, non è di per sé sufficiente per constatare l’esistenza di una pratica abusiva da parte del soggetto passivo o delle altre persone coinvolte nella suddetta catena, essendo l’Autorità tributaria competente tenuta a dimostrare l’esistenza di un indebito vantaggio fiscale di cui abbiano goduto tale soggetto passivo o tali altre persone”.

La pronuncia in questione appare di notevole importanza avuto riguardo al modus operandi che riscontriamo regolarmente in “casa nostra”, dove il basilare principio dell’onere della prova è, invece, sistematicamente ribaltato a carico del contribuente, consentendo all’Amministrazione finanziaria di ottenere giudicati favorevoli esclusivamente fondati su mere presunzioni. Sotto quest’ottica, la patria dello Ius Romanum riceve un’ennesima lezione dai Giudici europei, che, viceversa, in maniera senza dubbio condivisibile, considerano insuperabile il fondamentale principio in forza del quale, chi vuol far valere in giudizio un diritto (o farne disconoscere uno altrui), ha l’onere di fornire le prove che suffragano tale richiesta; dovendosi rigettare la stessa, in caso contrario.

Fonte Immagine: Foto di succo da Pixabay 

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