Paolo Soro

Tax Control Framework: la guida OCSE

L’OCSE ha recentemente pubblicato, tra le varie Linee Guida 2016, una relazione concernente il TCF (Tax Control Framework), cui fa riferimento la circolare 38/E del 16.09.2016, emanata dall’Agenzia delle Entrate, avente a oggetto: “Chiarimenti su quesiti e dubbi applicativi inerenti il regime di adempimento collaborativo.”

Nel corso del recente meeting dell’FTA (Forum on Tax Administration), svoltosi lo scorso mese di maggio, l'OCSE ha pubblicato il report: "Cooperative Tax Compliance: Building Better Tax Control Frameworks”.

Le imprese devono valutare l'accuratezza e la completezza delle loro dichiarazioni dei redditi e le altre comunicazioni fatte alle Autorità Fiscali. Appare, quindi, necessario un quadro di controllo fiscale (TCF), per garantire un solido processo di conformità. La pubblicazione OCSE fornisce una guida per aiutare le aziende a progettare e gestire in maniera appropriata detti TCF.

Come riporta lo stesso portale dell’OCSE, il documento in questione offre un’analisi di carattere sostanziale, onde comprendere meglio il rapporto tra ciò che è materiale per fini di sistemi di controllo (come a esempio la revisione esterna dei conti di una multinazionale), e ciò che è materiale in termini di imposte. Vengono fornite, inoltre, indicazioni alle giurisdizioni tributarie su come testare la solidità di un TCF nei differenti casi.

Al report dell’OCSE fa preciso riferimento l’Agenzia delle Entrate nella sua circolare 38/E del 16.09.2016 per fornire una serie di chiarimenti su quesiti e dubbi interpretativi afferenti il regime di adempimento collaborativo, di cui all’Art. 3 e ss. del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 128, (c.d. Decreto Certezza del Diritto). Il programma prevede forme costanti e preventive di dialogo con i contribuenti di grandi dimensioni, in modo da pervenire a valutazioni comuni sulle situazioni suscettibili di generare rischi fiscali.

A tal proposito, ricordiamo che, in fase di prima attuazione, al regime di cooperative compliance possono partecipare i contribuenti che hanno ricavi o volumi di affari superiori ai 10 miliardi di euro. La soglia per partecipare al programma scende a un miliardo di euro per quelle realtà che hanno scelto di partecipare al “Progetto Pilota” sin dall’avvio. Nessuna soglia, invece, per le imprese che intendono dare esecuzione alla risposta dell’Agenzia delle Entrate, fornita a seguito di istanza di interpello sui nuovi investimenti.

L’impresa che aderisce al nuovo regime di adempimento collaborativo deve disporre di un efficace sistema di controllo del rischio fiscale, impostato su una chiara tax strategy. Quest’ultima può essere definita proprio in base alle linee guida Ocse 2016, contenute nel documento di cui si tratta (Building Better Tax Control Framework). La strategia deve riflettere innanzitutto la propensione al rischio fiscale dell’impresa e includere i percorsi operativi necessari per posizionare la società sui livelli di rischio prescelti. Inoltre, la circolare ricorda che la domanda di accesso al regime deve essere accompagnata dalla documentazione relativa alla strategia fiscale che va tempestivamente aggiornata in caso di cambiamenti degli elementi essenziali.

In linea con gli orientamenti OCSE, è preferibile che la strategia fiscale sia attuata da persone che abbiano le giuste capacità ed esperienze. In quest’ottica la Circolare raccomanda un pieno coinvolgimento della funzione fiscale nelle decisioni di business, favorendo un’interazione critica per l’assunzione di decisioni consapevoli in relazione a ogni aspetto della vita aziendale suscettibile di interessare la variabile fiscale.

Sul sito delle Entrate vengono pubblicati gli elenchi dei contribuenti che partecipano al programma di “Cooperative Compliance”. Per coloro che aderiscono non è prevista la possibilità di scegliere se essere o meno inclusi in questo elenco, in ossequio all’esplicita previsione di legge in merito. L’Agenzia dovrà, inoltre, rendere periodicamente disponibili (sempre sul suo portale istituzionale) l’elenco delle operazioni, delle strutture e degli schemi di pianificazione fiscale aggressiva che violano le disposizioni normative vigenti, comprese quelle anti-abuso. La pubblicazione dei primi schemi avverrà entro la fine del corrente anno.

Con un provvedimento motivato, l’Agenzia potrà escludere dal regime di adempimento collaborativo i soggetti già ammessi, a seguito della perdita dei requisiti o dell’inosservanza degli impegni. Ancora con riguardo ai requisiti dimensionali, le Entrate possono escludere dal regime chi consegue, per tre esercizi consecutivi, livelli di ricavi o di volume di affari significativamente inferiori a quelli previsti per accedere al regime, senza tener conto di eventuali operazioni di aggregazione o disaggregazione aziendale infragruppo.

Ma diamo ora uno sguardo più approfondito alle prescrizioni fornite dall’OCSE in merito ai contenuti del Tax Control Framework.

Innanzitutto, sono sviluppate alcune considerazioni sull’integrità dell’attività nei quadri di corporate governance e vengono incluse le strategie messe in atto dalle imprese al loro interno. Nel dettaglio, i principi G20/OCSE di corporate governance comprendono raccomandazioni sul ruolo del consiglio di amministrazione e della gestione esecutiva nella supervisione delle politiche di integrità aziendale. L'OCSE, nelle sue Linee Guida per le imprese multinazionali, comprende raccomandazioni per il trattamento della governance fiscale e la lotta all'evasione, come parti fondamentali della supervisione e della gestione del rischio.

Le caratteristiche specifiche del sistema di controllo interno devono riflettere le circostanze del commercio e dell'industria. Devono, poi, essere individuati sei elementi obbligatori (c. d. blocchi di costruzione) per ciascun TCF:

  1. Deve essere stabilita la strategia fiscale. Ciò riflette la propensione al rischio, tra cui la volontà di adottare posizioni fiscali con le quali le Amministrazioni Finanziarie possono non essere d’accordo.
  2. La strategia deve essere applicata globalmente. In tal modo si possono coprire tutte le operazioni potenzialmente atte a influenzare la posizione fiscale dell'impresa.
  3. Le responsabilità devono essere sempre bene individuate e assegnate. In particolare, va chiaramente definito il ruolo e la responsabilità del Consiglio per la progettazione e l'attuazione della strategia fiscale, nonché per il ruolo del personale, all'interno dell’impresa.
  4. L'intero processo deve essere documentato. In sostanza, occorre predisporre un sistema di segnalazione delle operazioni e degli eventi, in modo che i potenziali rischi di non conformità siano identificati e gestiti. Inoltre, dovranno essere accantonate e immediatamente disponibili le risorse necessarie per implementare e rivedere il TCF.
  5. E’, poi, indispensabile il regolare monitoraggio e la periodica verifica del Framework. Il quadro/struttura del modello deve essere sufficiente per garantire a tutte le parti interessate (tra cui l'Amministrazione Tributaria), che i rischi di carattere fiscale sono soggetti a un controllo interno adeguato e che le dichiarazioni dei redditi e le altre informazioni sono affidabili.
  6. L'impresa deve infine stabilire il proprio personale livello di rischio e garantire un Framework di gestione del rischio in grado di identificare i casi in cui viene superato l’anzidetto limite prefissato. Occorrere mettere in atto quei particolari meccanismi in condizione di mitigare l’eventuale rischio aggiuntivo che supera l’ordinaria "propensione al rischio" dell'impresa.

Ciò detto, l'Amministrazione deve valutare la solidità del TCF e assicurarsi che venga seguito nella pratica. A tal riguardo, l'OCSE suggerisce alcuni approcci specifici che potrebbero essere utilizzati dall'Amministrazione Finanziaria per valutare la TCF:

-          Chiedere alla gestione del business come funziona il TCF.

-          Esaminare le modifiche apportate a seguito di nuove leggi o di ristrutturazioni aziendali, per verificare come queste possono variare il funzionamento del Framework, nonché la sua capacità nell’individuare i potenziali errori di processo.

-          Pretendere l’inclusione di altri test nei controlli di realtà, le dichiarazioni dei redditi modificative e le connesse revisioni delle segnalazioni da parte dell'impresa.

Per testare l'applicazione del TCF, in pratica, l'Amministrazione Fiscale potrebbe verificare i controlli esistenti sia all'interno che all'esterno del business, a opera di External Auditors e di altre Autorità e Uffici a ciò appositamente preposti. L'Autorità Fiscale dovrebbe guardare a come l'azienda ha testato i propri controlli e quale documentazione e audit-trails sono stati creati.

Determinati rischi fiscali possono, poi, derivare pure nell’attuazione di modifiche alla struttura o al sequenziamento di una transazione. Orbene, il TCF dovrebbe identificare l'entità di tali eventuali rischi derivanti dalla pratica.

Molte giurisdizioni tributarie hanno anche un regime per la divulgazione obbligatoria di alcuni rischi fiscali. In proposito, il TCF deve riflettere i cambiamenti nel contesto operativo nel quale interagiscono la policy fiscale con la ristrutturazione aziendale programmata.

Nel contesto del rispetto dello spirito di comune collaborazione, l'Amministrazione Finanziaria deve adeguare la propria strategia di gestione del rischio per ogni grande azienda, tenendo conto del rapporto di Cooperative Compliance volontaria.

In sede di conclusioni, la relazione dell’OCSE afferma che quando il TCF di una multinazionale è valutato come efficace e l'impresa fornisce importanti comunicazioni (comprese le informazioni rilevanti per valutare i rischi fiscali), la misura dei provvedimenti espressi nelle opinioni e negli audit effettuati dalla competente Autorità Fiscale può essere ridotta. Detta Amministrazione Finanziaria, infatti, può fare direttamente affidamento sulle informazioni contenute nel report (oltre che sul contribuente), per portare posizioni fiscali incerte alla sua attenzione.

Le giurisdizioni tributarie dovrebbero valutare attentamente i TCF e utilizzarli opportunamente al fine di rafforzare il rispetto del modello collaborativo, gestendo efficacemente tutti gli eventuali potenziali rischi che potrebbero originarsi dall’attività di Cooperative Compliance. I Paesi, a tal proposito, dovrebbero formulare i propri metodi per valutare i sistemi di gestione del rischio aziendale e dovrebbero anche prendere in considerazione l'emanazione di ulteriori indicazioni per garantire la divulgazione e la conoscenza di ogni possibile rischio fiscale.

Il Tax Control Framework costituisce, in pratica, l’ennesimo tassello aggiunto dall’OCSE, al fine di garantire un comportamento etico da parte dei grossi gruppi internazionali, e va ad aggiungersi ai già noti obbligatori adempimenti che dette imprese devono predisporre a beneficio delle giurisdizioni tributarie, onde illustrare compiutamente le loro strategie operative e scongiurare il rischio di scorrette politiche elusive (Documentazione Nazionale, Master File, Country By Country Report).

Giusto un’osservazione in chiusura.

E’ evidente e naturale che le imprese cerchino di mettere in atto quelle operazioni atte a consentire loro di produrre i maggiori volumi di reddito presso le giurisdizioni tributarie in cui il livello impositivo risulta inferiore. Ebbene pare fin troppo ovvio come, laddove non esistesse tale disparità di tassazione fra i vari Paesi, il problema sarebbe immediatamente eliminato alla radice, senza necessità di sviluppare certi modelli anti-avoidance e imporne i connessi adempimenti.

La soluzione – invero, non così difficile da trovare – è stata resa nota da tempo: trattasi della famosa (o forse famigerata?) Common Consolidated Corporate Tax Base (CCCTB), una base imponibile societaria comune. La proposta di direttiva è stata inizialmente presentata nel lontano 2011, prospettando alcuni indubbi vantaggi a livello comunitario:

-          riduzione dei costi di conformità;

-          eliminazione dei problemi legati al transfer pricing;

-          compensazione e consolidamento globale dei profitti e delle perdite;

-          pressoché totale scomparsa dei casi di doppia imposizione;

-          eliminazione delle numerose ipotesi di discriminazione e delle restrizioni.

Il 17 giugno 2015, la Commissione europea ha comunicato al Parlamento europeo e al Consiglio europeo un action plan “for a fair and efficient corporate tax system in the EU”. Uno dei pilastri di tale action plan è proprio il rilancio della proposta di direttiva CCCTB.

Ciononostante, i governi fanno orecchie da mercante e continuano a soprassedere, accampando le scuse più disparate, pur di non modificare lo status quo e mantenere – ciascuno per quanto gli conviene – la propria autonoma posizione, in barba a qualunque spirito di unità europea.

Dobbiamo, evidentemente, presumere che le attuali differenze tributarie a livello internazionale (ossia, quella situazione foriera della principale fetta di evasione fiscale mondiale) sia, non solo accettata, ma vieppiù gradita dai Paesi membri dell’UE (e non certo di quei commercialisti, sistematicamente accusati di essere complici delle aziende che vogliono evadere).

Ora, se neppure al solo interno dell’Unione europea si riesce a far “digerire” determinate riforme fiscali, come possiamo anche lontanamente immaginare di proporle a livello OCSE/G20?

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